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Le Encicliche di Papa Pio X

«IAMDUDUM IN LUSITANIA»

(1911)

La chiesa cattolica in Portogallo

Noi riteniamo che a voi tutti sia ben noto, venerabili fratelli, come già da tempo sia in atto in Portogallo un indicibile susseguirsi di eventi volto ad opprimere la chiesa con misfatti di ogni genere. Chi ignora infatti che da quando ha assunto la forma di repubblica il governo di quella nazione ha immediatamente intrapreso, in un modo o in un altro, a decretare cose tali che manifestano un odio implacabile verso la religione cattolica? Abbiamo visto che sono state tolte di mezzo con la forza le famiglie dei religiosi, e questi, in massima parte, sono stati espulsi in modo rozzo e disumano dai confini del Portogallo. Abbiamo visto che, con la pervicace intenzione di profanare ogni civile disciplina e di non lasciare nessuna vestigia di realtà religiosa nei comportamenti della vita sociale, sono stati eliminati dal numero delle festività i giorni festivi della chiesa; il giuramento è stato privato dell'intrinseca caratteristica religiosa; è stata promulgata in gran fretta la legge relativa al divorzio; è stato eliminato l'insegnamento della dottrina cristiana dalle scuole pubbliche. Infine, lasciando da parte altre cose che sarebbe lungo elencare, in modo ancor più violento da costoro sono stati attaccati i sacri presuli, e due fra i più ragguardevoli vescovi, quello di Porto e quello di Beja, uomini illustri sia per integrità di vita che per grandi benemerenze verso la patria e la chiesa, sono stati cacciati dalle sedi della loro onorabile funzione. - Avendo poi i nuovi governanti del Portogallo prodotto tanti e tali esempi di imperioso arbitrio, voi sapete con quanta pazienza e moderazione si è comportata questa Santa Sede nei loro confronti. Con estrema attenzione infatti abbiamo ritenuto che si dovesse evitare di compiere qualsiasi cosa che potesse ritenersi compiuta in modo ostile verso la repubblica. Conservavamo infatti qualche speranza che costoro manifestassero infine progetti più ragionevoli, e finalmente, con un qualche accordo, dessero soddisfazione alla chiesa riguardo alle offese perpetrate. In verità ci siamo del tutto sbagliati: ecco che all'infame comportamento impongono quasi un compimento con la promulgazione di una pessima e dannosissima legge relativa alla separazione degli affari dello stato e della chiesa. A questo punto la coscienza dell'ufficio apostolico non Ci permette più in alcun modo di sopportare con rassegnazione e di lasciar correre nel silenzio una ferita così grave inferta al diritto e alla dignità della religione cattolica. Quindi, con questa lettera, facciamo appello a voi, venerabili fratelli, e denunciamo alla cristianità universale l'indegnità di questo fatto.

Prima di tutto, che la legge di cui parliamo sia qualcosa di assurdo e di mostruoso appare dal fatto che essa stabilisce che lo stato sia esente dal culto divino, come se non dipendessero da Colui che è il creatore e il conservatore di tutte le cose sia i singoli cittadini sia qualsiasi associazione di uomini e comunità: e così dispensa il Portogallo dall'osservanza della religione cattolica, di quella religione cioè che a questa gente fu sempre di presidio e ornamento e che la quasi totalità dei cittadini professa. Tuttavia ammettiamo: si è voluto rompere l'unione tra lo stato e la chiesa, unione che era stata stabilita con patti solenni. Posta questa separazione sarebbe stato senza dubbio coerente lasciar da parte la chiesa, e permettere che essa facesse uso della libertà e del diritto comuni, di cui fanno uso qualsiasi cittadino e qualsiasi onesta società di cittadini. Siamo invece di fronte al contrario. Questa legge infatti prende nome dalla separazione, ma da questo stesso fatto prende la forza di ridurre la chiesa in estrema povertà, spogliandola dei beni esterni, e di trascinarla con l'oppressione nell'asservimento allo stato, in quelle cose che spettano alla potestà sacra e allo spirito.

In primo luogo, per quanto riguarda le cose esterne, la Repubblica Portoghese si separa dalla chiesa in modo da non lasciarle assolutamente nulla per poter conservare il decoro della casa di Dio, nutrire i sacerdoti, adempiere i molteplici servizi della carità e della pietà. In realtà, con la prescrizione di questa legge, non solo la chiesa è privata del possesso di tutte le cose immobili e mobili che possiede, anche se queste sono state acquisite in modo giuridicamente valido; ma le è anche sottratto qualsiasi potere di acquisire qualcosa in futuro. Si dispone infine che determinate corporazioni di cittadini presiedano all'esercizio del culto divino; tuttavia la facoltà che è loro concessa di ricevere ciò che viene offerto per questo scopo, è singolarmente circoscritta in angusti confini. Inoltre la legge ha estinto e soppresso le obbligazioni con le quali i cittadini cattolici erano soliti offrire un qualche stipendio o sussidio al proprio parroco, proibendo che venga preteso qualcosa sul loro fondamento. Permette comunque che gli stessi cattolici provvedano con una volontaria raccolta di denaro alle spese da sostenersi per il culto divino; prescrive tuttavia che dalla somma conferita per questo scopo venga detratta la terza parte e questa venga utilizzata per le necessità della beneficenza civile. E a tutte queste cose, quasi a coronamento, si aggiunge con questa legge che gli edifici che in seguito dovesse succedere di comprare o costruire per gli usi sacri, questi, dopo che sia trascorso un determinato numero di anni, rimossi i legittimi possessori, e per senza alcuna indennità, vengano trasferiti allo stato.

Riguardo poi alle cose nelle quali la sacra potestà della chiesa si esercita in modo proprio, è molto più grave e molto più dannoso l'oltraggio di questa Separazione, che, come si è detto, diventa una indegna servitù della stessa chiesa. Prima di tutto, proprio la gerarchia, del tutto ignorata, non viene presa in considerazione. Se si fa una qualche menzione degli uomini dell'ordine sacro, questo avviene per proibire loro di occuparsi in un qualsiasi modo dell'ordinamento religioso del culto. Tutta questa cura è demandata ad associazioni di laici che siano già costituite, o che lo debbano essere in futuro, a scopo di beneficenza, e per di più istituite e a norma del diritto civile, per autorità dello stato repubblicano, senza che dipendano per alcun motivo dall'autorità della chiesa. Al punto che se, riguardo all'associazione cui questo dev'essere conferito d'ufficio, ci fosse dissenso fra chierici e laici, o non ci fosse accordo fra gli stessi laici, la cosa non viene affidata per una decisione alla chiesa, ma al giudizio dello stato. Anche nella disposizione del culto divino coloro che sono al governo in Portogallo non permettono che ci sia spazio per il clero, come è apertamente prescritto e stabilito; non possono, coloro che sono addetti ai ministeri religiosi, essere nominati nel collegio decanale delle parrocchie o essere fatti partecipi dell'amministrazione o del governo delle associazioni di cui abbiamo parlato: di questa disposizione non si può pensare nulla di più iniquo e intollerabile, dal momento che rende l'ordine dei chierici proprio in quella cosa nella quale è superiore, in una condizione inferiore a quella degli altri cittadini.

E quasi impossibile credere quali siano i vincoli con i quali la legge portoghese costringe e imprigiona la libertà della chiesa; quanto contraddica le istituzioni della nostra epoca ed anche le pubbliche proclamazioni di tutte le libertà; quanto sia indegna per qualsiasi essere umano e popolo civile. È anche proibito, con gravi pene, dare alle stampe qualsiasi atto dei vescovi, e per nessun motivo, neppure dentro le mura delle chiese, è lecito esporli al popolo, se non con l'autorizzazione dello stato. È inoltre proibito, fuori dei luoghi sacri, celebrare qualsiasi cerimonia senza l'autorizzazione del governo repubblicano, compiere una qualsiasi processione, portare ornamenti sacri e neppure la stessa veste talare. È parimenti vietato, non solo negli edifici pubblici, ma anche nelle case private, esporre qualcosa che sappia di religione cattolica; mentre non è affatto vietato ciò che offende i cattolici. Ancora, non è lecito costituire associazioni che abbiano lo scopo di praticare la religione o la pietà: le società di questo genere sono considerate alla stessa stregua di quelle infami che vengono costituite a scopo delittuoso. E per di più, mentre a tutti i cittadini è concesso di poter fare uso a proprio arbitrio delle proprie cose, ai cattolici invece, contro il giusto e il lecito, è fortemente ristretta una simile potestà, nel caso in cui vogliano che qualcosa del loro sia conferito a conforto delle opere delle persone pie o a sostegno delle spese per il culto divino: e le cose di questo genere che sono già state piamente stabilite, empiamente stravolte, vengono trasferite ad altro uso, violando i testamenti e le volontà di coloro che li hanno fatti. Infine lo stato - cosa questa amara e grave al massimo grado - non esita ad entrare nel dominio specifico dell'autorità della chiesa, e a prescrivere molte cose in quell'ambito che, riferendosi all'ordinamento stesso dell'ordine sacro, pretende per sé le migliori attenzioni della chiesa: parliamo della educazione e della formazione della gioventù consacrata. Non solo infatti costringe gli alunni del clero, per gli studi delle scienze e delle lettere che precedono la teologia, a frequentare i pubblici licei, dove l'integrità della loro fede, per il tipo di istruzione estraneo a Dio e alla chiesa, è sicuramente esposto a pericoli del tutto evidenti; ma il governo repubblicano si introduce anche nella vita e nella organizzazione interna dei seminari, e si arroga il diritto di designare i professori, di approvare i libri, di programmare gli studi sacri dei chierici. Sono rimessi così in vigore i vecchi decreti dei Regalisti; questi poi, dal momento che erano già colmi di pesantissima arroganza, mentre c'era ancora concordia fra lo stato e la chiesa, ora che lo stato vuole non avere nulla in comune con la chiesa, non sembreranno forse contraddittori e pieni di stoltezza? - Cosa si deve dire dato che questa legge innanzi tutto è stata fatta anche per corrompere i costumi del clero e per provocarne la defezione dai loro propositi? Assegna anche infatti una certa pensione a carico dell'erario a coloro che, per l'autorità dei vescovi, abbiano ricevuto l'ordine di astenersi dai sacramenti, e ricolma di straordinari benefici i sacerdoti che, miserevolmente dimentichi delle loro funzioni, abbiano avuto l'ardire di sposarsi, e, cosa disdicevole a riferirsi, estende gli stessi benefici alla compagna e alla prole della sacrilega relazione qualora sopravvivano.

Infine, lo stato non si accontenta di imporre alla chiesa del Portogallo, spogliata dei propri beni, un giogo quasi servile, ma ancora cerca, per quanto le è possibile, sia di farla uscire dal grembo della cattolica unità e dalla comunione della chiesa romana, sia di impedire che la sede apostolica estenda la sua autorità e provvidenza ai religiosi del Portogallo. Quindi, in base a questa legge, non è permesso divulgare le prescrizioni del romano pontefice, se non quando ufficialmente concesso. Ugualmente al sacerdote che, presso un qualche ateneo istituito dall'autorità pontificia, abbia conseguito i gradi accademici nelle discipline sacre, anche se abbia poi terminato il tempo della teologia in patria, non è concesso di esercitare le funzioni sacre. In questo appare chiaro che cosa voglia lo stato: fare in modo che i chierici adolescenti che desiderano perfezionarsi e conseguire una più raffinata cultura, non vengano, per tale motivo, in questa città, la capitale del cattolicesimo: dove, certamente in modo molto più agevole che in nessun luogo altrove, avviene che le menti si conformino all'incorruttibile verità della dottrina cristiana e gli animi alla sincera pietà e fiducia nella sede apostolica. Questi, tralasciandone altri, che tuttavia non sono di minore iniquità, sono dunque i principali capitoli di questa malvagia legge.

Pertanto, ammonendoCi la coscienza dell'ufficio apostolico, affinché, in tanto grande insolenza e audacia dei nemici di Dio, difendiamo con grande vigilanza la dignità e il decoro della religione, e salviamo i sacrosanti diritti della chiesa cattolica, Noi, la legge sulla separazione della repubblica portoghese e della chiesa, legge che disprezza Dio e ripudia la professione di fede cattolica; che abroga i patti solennemente concordati fra il Portogallo e la sede apostolica; che opprime la stessa libertà della chiesa e distrugge la sua divina costituzione; che infine colpisce di ingiuria e di offesa la maestà del pontificato romano, l'ordine dei vescovi, il clero e il popolo del Portogallo e allo stesso modo tutti i cattolici che si trovano su tutta la terra, in forza della Nostra autorità apostolica, la disapproviamo, condanniamo, rifiutiamo. Poiché deploriamo fortemente che una simile legge sia promulgata, ratificata, pubblicata, ed eleviamo solenne protesta a tutti coloro che ne furono autori o partecipi, per questo proclamiamo e annunciamo che qualsiasi cosa sia stato stabilito contro i diritti inviolabili della chiesa, è e deve essere ritenuto nullo e senza valore.

Senza dubbio questi difficilissimi tempi nei quali il Portogallo si trova in grande travaglio, dopo che è stata dichiarata guerra alla religione in nome dello stato, Ci procurano una grande preoccupazione e tristezza. Ci rattristiamo soprattutto per un così grande spettacolo di mali che opprimono una popolazione a Noi particolarmente diletta; soffriamo nell'attesa di cose ancora più violente che certamente la sovrastano, se, coloro che detengono il potere, non si dedicheranno in modo ragionevole alla loro funzione. - Ci consola però moltissimo la vostra esimia virtù, venerabili fratelli che guidate la chiesa portoghese, e l'ardore di questo clero così mirabilmente in sintonia con la vostra virtù, e arreca una buona speranza che potranno alfine ivi esserci, con l'aiuto di Dio, cose migliori. Voi tutti infatti, non avete di certo considerato una ragione di sicurezza o comodo, ma di dovere e di dignità, quando avete ripudiato l'iniqua legge della separazione con una indignazione aperta e libera; quando in modo unanime avete professato di volere piuttosto acquistare la libertà del servizio sacro con la perdita dei vostri beni, che procurarvi la schiavitù per un modesto compenso; quando infine negaste che mai per nessuna astuzia o violenza dei nemici la vostra unione con il vescovo di Roma potesse essere scossa. Queste testimonianze illustri di fede, di costanza e di grandezza d'animo che al cospetto della chiesa universale avete dato, sappiate che furono fonte di gioia per tutti i buoni, di onore per voi, di aiuto non piccolo allo stesso travagliato Portogallo. - Per questo continuate, come avete intrapreso, a perseguire con tutte le forze la causa della religione, con la quale è congiunta la salvezza stessa della patria comune; ma soprattutto cercate di conservare attentamente e di confermare il massimo consenso e la concordia voi stessi fra di voi, e il popolo cristiano con voi, e tutti con questa cattedra del beato Pietro. Questo infatti si prefiggono gli autori della legge sciagurata, come abbiamo detto: separare la chiesa portoghese, che depredano e opprimono, non dalla repubblica (come vogliono fare apparire), ma dal vicario di Gesù Cristo. Poiché se a questo progetto e delitto degli uomini voi attivamente cercherete di opporvi e resistere, già per mezzo vostro alle cose del Portogallo cattolico si sarà provveduto in modo adeguato. Noi intanto, per la singolare carità con cui vi amiamo, eleveremo suppliche a Dio onnipotente, perché venga in aiuto del vostro diligente impegno. - Preghiamo poi voi, vescovi del rimanente mondo cattolico, affinché vogliate mostrare la stessa cosa, in un tempo tanto critico del dovere, ai tormentati fratelli del Portogallo.

Auspice dei doni divini e a testimonianza della Nostra benevolenza, a voi tutti, venerabili fratelli, al clero e al vostro popolo, impartiamo con grande amore la benedizione apostolica.

Roma, presso san Pietro, 24 maggio 1911, festa di Maria Nostra Signora, aiuto dei cristiani, anno VIII del Nostro pontificato.

PIO PP. X

ultimo aggiornamento: 14.08.2007

 
 
 
 
 
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