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Un ricordo riconoscente di Roger Aubert (1914-2009)

di Quirino Bortolato

foto AubertPurtroppo la riconoscenza è un valore in via di estinzione, ma ricordare Roger Aubert (Ixelles, 16 gennaio 1914-Schaerbeek, 2 settembre 2009) è per me un debito che va molto oltre la pura e semplice gratitudine.

La sua guida ed il suo esempio sono stati un faro durante i 23 anni di frequentazione attiva, dal 1984 al 2007.

Storico di grande spessore, dotato di acume innovativo nella ricerca e nell’interpretazione dei fatti, Roger Aubert è morto mercoledì 2 settembre 2009, a novantacinque anni e mezzo.

Nipote dell’egittologo Jean Capart (1877-1947) e allievo del sacerdote e storico Aloïs Simon (1897-1964), è stato storico e teologo belga, specialista della vita globale del cattolicesimo, specialmente del papato dell’Ottocento e del Novecento, ed ha saputo cogliere con grande originalità i tratti del papato contemporaneo, soprattutto con riferimento al Concilio Vaticani II.

È stato forse, se non il più grande, sicuramente fra i massimi ricercatori per la Storia della Chiesa Cattolica del XX secolo.

Compiuti gli studi secondari all’Institut Saint-Boniface-Parnasse (Ixelles), ha studiato teologia al Seminario di Malines ed ottenuto la laurea in storia all’Università Cattolica di Lovanio ad appena 19 anni, nel 1933.

foto AubertOrdinato sacerdote a 24 anni, nel 1938, prima dell’invasione nazista, ha proseguito gli studi teologici sempre presso l’Università Cattolica di Lovanio, conseguendo in pochi anni (1939-1945) i titoli di dottore e di “Magister Sacrae Theologiae”.

A soli 37 anni, nel 1951, è diventato canonico onorario.

Ecco il perché a volte lo si trova citato come “Prof. Ch. Aubert”, cioè professore e canonico insieme.

Professore del Seminario di Malines dai 30 ai 38 anni (1944-1952) e dell’Università di Lovanio dai 38 ai 69 anni (1952-1983), è stato membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche (1968), del Consiglio scientifico dell’Istituto Paolo VI di Brescia (1980), della British Academy (1980), ed ha ottenuto parecchie lauree honoris causa (università di Nijmegen, 1963; Milano, 1965; Tübingen, 1967; Graz, 1985).

Ha fatto parte o è stato posto a capo di diverse organizzazioni che si occupavano di storia della Chiesa e dei papi del XX secolo: fra queste, in Lombardia partecipò più volte ai colloqui di studio organizzati dall’Istituto Paolo VI di Brescia, un Centro internazionale di studi e documentazione promosso dall’Opera per l’Educazione Cristiana (canonicamente eretta con decreto 29 giugno 1977 del Vescovo di Brescia, civilmente riconosciuta nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano con decreto del Presidente della Repubblica in data 28 luglio 1978 n. 610), ed in Veneto fu presidente del Comitato Tecnico Scientifico della Fondazione Sarto di Riese Pio X dal 1988 al 1995, del quale mons. Silvio Tramontin (1919-97) fu vicepresidente.

Non sono pochi coloro che ricordano le sue importanti pubblicazioni, la partecipazione a convegni scientifici, la cordialità del tratto. La volontà di far partecipi i colleghi delle sue ricerche e lo spirito libero lo hanno conservato fecondo autore “sino all’ultimo soffio”, come ha sottolineato Jean-Pierre Delville in un recente volume di omaggio edito dalla Bibliothèque della “Revue d’histoire ecclésiastique”, la prestigiosa rivista che Aubert ha diretto fino al 91° anno di vita (2005).

Foto AubertNonostante la veneranda età, ha retto nello stesso tempo le sorti del “Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastique”, che ha guidato in modo magistrale per 50 anni. Questi pluriennali impegni costituiscono i due pilastri fondamentali della sterminata produzione di “un uomo profondamente credente che ha fatto della sua professione la sua vocazione”, sempre pronto a ribadire la sua più fondata e radicata convinzione: ”Come non ci sono due matematiche, una cattolica e una non cattolica, così non ci sono due storie, una cattolica e una non cattolica”.  
Sacerdote pio e schivo, non ha mai esercitato incarichi pastorali in cura d’anime a vari livelli, ma ha servito la Chiesa e la società compilando più di 500 opere di ampio e profondo respiro, che hanno lasciato un segno indelebile nelle ricerche e tracciato una via originale e trasparente. Come storico ha trasmesso la passione per l’analisi critica del passato a più di una generazione; come teologo ha fatto luce su passaggi cruciali della vita del cattolicesimo dell’Ottocento e del Novecento, da Pio ix al Vaticano ii, con una lettura non politico-ideologica ma indirizzata in chiave religiosa, ricostruendo le varie fasi del recente Concilio Vaticano II con rigore filologico e riponendo in esso tutte le sue speranze di progresso della Chiesa del “suo” Cristo.  
Decisamente innovativo è stato il suo lavoro su Pio IX, che Angelo Giuseppe Roncalli, allora nunzio a Parigi, giudicò “interessantissimo e istruttivo” (Diario, 21 marzo 1952), appena ebbe l’opportunità di valutarlo; le stesse caratteristiche di mutamento nella filosofia della ricerca storica presenta anche quello sul Vaticano i: “Aubert è sempre lo stesso, accogliente, aperto, intelligente”, ha annotato il 27 ottobre 1964 il celebre teologo domenicano Yves Congar (1904-95) nel suo diario, alla presentazione dell’opera.  
Ma dello storico Aubert hanno fatto discutere anche altre tesi del tutto nuove.

Oltre ai giudizi nuovi, portatori di una nuova visione storica del difficile e mai compreso appieno papato di Pio IX, fu lui a definire Pio x “riformatore e conservatore a un tempo”, affermando così che Giuseppe Sarto, apparso ai suoi contemporanei così antimoderno “fu in realtà uno dei più grandi Papi riformatori della storia, il più grande riformatore della vita interna della Chiesa dopo il concilio di Trento” (tesi espressa nella “Storia della Chiesa” diretta da Hubert Jedin). Fu lui, nella sua trattazione del Concilio Vaticano II nella monumentale Storia della Chiesa iniziata da Fliche e Martin, a collocare, da un punto di vista religioso e scientificamente ecclesiale, Paolo VI “pienamente sulla linea tracciata da Giovanni XXIII”.

Nell’occasione del suo novantacinquesimo compleanno, i suoi colleghi e studenti hanno pubblicato un “Festschrift” [pubblicazione straordinaria] in suo onore: La papauté contemporaine (XIXe-XXe siècles) - Il papato contemporaneo (secoli XIX-XX).

I funerali sono stati celebrati mercoledì 9 settembre 2009 nella chiesa di San Francesco a Louvain-la-Neuve, dove il 16 ottobre 2009 si è svolta una commemorazione accademica con la presentazione del volume di studi che ne riconosce ampiamente i meriti umani, sacerdotali e scientifici.

Ho avuto l’onore di incontrare il canonico Aubert a Treviso il 3 novembre 1984, in occasione della tavola rotonda Il Veneto di Giuseppe Sarto (1835-1903), indetta per il 150° della nascita di S. Pio X, alla quale partecipò insieme con Silvio Tramontin (1919-97), Giovanni Pillinini e Giovanni Zalin (1937-viv.).

In seguito ho tradotto dal francese due suoi fondamentali interventi, pubblicati nel volume Pio X Un papa e il suo tempo, curato da Gianpaolo Romanato con la partecipazione di una quarantina di autori, stampato dalle edizioni S. Paolo nel 1987, volume che costituisce una pietra miliare nella recente storiografia riguardante il papa veneto. Ebbi poi l’opportunità di effettuare altre traduzioni e di avere un lungo rapporto epistolare. A lui, su mia richiesta, si deve il primo elenco delle chiese dedicate a S. Pio X in Belgio.

L’ho rivisto il 30 maggio 1988, nell’occasione in cui si è tenuta la prima riunione del Comitato Tecnico Scientifico della Fondazione Giuseppe Sarto a Riese Pio X. Durante la seduta, è stato eletto presidente di tale Comitato, carica che ha tenuto per 7 anni, fino al 1995, anno in cui la nuova amministrazione comunale ha deciso di non avvalersi più della sua collaborazione.

Il Comitato Tecnico Scientifico della Fondazione era formata da altri quattro membri, di indubbio valore scientifico internazionale: Silvio Tramontin, vicepresidente, Antonio Pavan, Gianpaolo Romanato e Gabriele De Rosa.

Io ebbi le funzioni di segretario e di coordinatore locale delle pubblicazioni che la Fondazione avrebbe pubblicato (in particolare, con mons. Tramontin, dovevo curare l’uscita dei Quaderni della Fondazione Giuseppe Sarto): ho svolto tali mansioni fino al 30 giugno 1999, data in cui sono stato congedato.

Un giorno la discussione cadde sul cristianesimo delle origini nelle tre regioni del nord-est italiano, e mi confidò che, a 75 anni, non aveva mai visitato né Aquileja, né Grado, né Concordia. Ci mettemmo d’accordo per giovedì 19 ottobre 1989: ho ancora presente la sua soddisfazione per l’interessante escursione, e la sua intensa commozione a Concordia, di fronte alla tomba del card. Celso Costantini (1876-1958), a lui molto noto come antesignano di Papa Giovanni XXIII a riguardo della convocazione del Concilio Vaticano II (aveva presentato un dossier, datato 15 febbraio 1939, raccolto sotto il titolo Il Concilio. Sulla convenienza di convocare un Concilio Ecumenico).

I contatti epistolari, abbastanza intensi, testimoniano la stima e l’amicizia reciproca. Accettò di buon grado di scrivere “due righe” di introduzione al mio volume sul beato Giuseppe Nascimbeni (2001), fatto che ha costituito per me motivo di grande gioia, perché non avrei mai sperato che un grande storico di professione potesse presentare il lavoro di un dilettante.

L’ultima volta che ci siamo visti mi ha donato quattro volumetti, rilegati in cartoncino blu con dorso rosso, contenenti i suoi scritti sul Concilio Vaticano II apparsi nel volume XXV/1 della grande Storia della Chiesa di Fliche e Martin (Ed. S. Paolo, 1994).

A corredo di queste brevi note e di questo grato ma troppo rapido ricordo, aggiungo due articoli, in stretto ordine cronologico: quello di Alberto Melloni, apparso nel “Corriere della Sera” del 5 settembre 2009, e l’articolo pubblicato da”Avvenire” nel giorno dell’estremo saluto, che l’amico Marco Roncalli, pronipote di papa Giovanni, giornalista e fine storico, mi ha inviato. 

Aubert, lo storico cattolico che andava oltre le ideologie

Alberto Melloni

“Corriere della Sera” - 5 settembre 2009 

«Non ci sono due matematiche, una cattolica e una non cattolica; così non ci sono due storie, una cattolica e una non cattolica ». Roger Aubert chiudeva in questo modo la sua prefazione al volume che nel 2000 festeggiava il centenario della «Revue d’Histoire Ecclésiastique»: ne era stato il più longevo direttore e aveva fatto diventare questo importante strumento di ricerca la più prestigiosa rivista dedicata alla storia della chiesa. Si era dimesso quindici anni fa, salutato da un volume che raccoglieva i suoi studi sul cardinal Mercier, il «prelato d’avanguardia» al quale aveva dedicato molte ricerche. Ma anche dopo il 1994 (Roger Aubert era nato nel 1914 ed era diventato prete prima della invasione del Belgio da parte della Wermacht) aveva continuato a lavorare indefessamente al Dictionnaire d’Histoire et Géographie Ecclésiastique, il grande progetto culturale del cattolicesimo francofono che l’ha dotato di strumenti di comprensione e di ricerca che umilia il piccolo cabotaggio di altri mondi e altri ambienti.

Ma l’opera più innovativa di Aubert fu il suo Pio IX , apparso come volume della storia della chiesa di Fliche e Martin e che nella Roma degli anni Cinquanta si vendeva ancora con cautela: riportare il papa sulla cui vita s’era costruita una ideologia storica della perdita del potere temporale e una lettura molto curvata dell’infallibilismo, era in quegli anni una audacia che poteva costare cara a uno storico di esemplare rigore e libertà. La Santa Sede lo aveva però onorato facendolo presidente [membro, ndr] del pontificio comitato di scienze storiche: uomo severo e mai rancoroso, Aubert aveva ricevuto poche settimane fa in omaggio un volume curato dai suoi eredi e allievi lovaniensi, nel quale hanno scritto studiosi dei più diversi paesi e orientamenti, a segnare un debito di riconoscenza che non riguarda solo i professionisti della storia della chiesa, ma tutti coloro che si rendono conto che per capire passaggi importanti del nostro tempo è necessario aver presente non ideologumeni o teologumeni su come la storia si vorrebbe che fosse, ma conoscenze serie e limpide di come la storia è. Aubert è morto all’altare come nei racconti sul santo prete; unica e commovente indulgenza allo stereotipo, in tutta la vita. 

È morto Roger Aubert

Storico fino all’ultimo

Marco Roncalli

”L’Osservatore Romano - 6 settembre 2009 

Storico che ha saputo cogliere con originalità i tratti del papato contemporaneo, Roger Aubert è morto mercoledì scorso a novantacinque anni. Sono in molti a ricordare le sue importanti pubblicazioni, la partecipazione a convegni scientifici, la cordialità del tratto negli incontri per l’Europa o a Louvain-la-Neuve in un ambiente invaso da libri e carte. La volontà di far partecipe i colleghi delle sue ricerche, come pure il suo spirito libero, lo hanno mantenuto fecondo e produttivo “sino all’ultimo soffio” come ha sottolineato l’abbé Jean-Pierre Delville in un recente volume di omaggio edito dalla Bibliothèque della “Revue d’histoire ecclésiastique”. Aubert l’aveva diretta sino al 2005 reggendo al contempo le sorti - per un mezzo secolo - del “Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastique”. Ma si è trattato per lui di due ampi filoni di un lavoro ancor più poderoso, due pilastri nella produzione immensa di “un uomo profondamente credente che ha fatto della sua professione la sua vocazione”, ha ricordato ancora Jean-Pierre Delville, e che - aggiungiamo - era sempre pronto a ribadire la sua convinzione:  “Come non ci sono due matematiche, una cattolica e una non cattolica, così non ci sono due storie, una cattolica e una non cattolica”.  
Sacerdote, pur non avendo mai esercitato incarichi pastorali, ha servito la Chiesa e la società con più di cinquecento opere. Come storico trasmettendo la passione per l’analisi critica del passato a più di una generazione dopo la sua, come teologo facendo luce su passaggi cruciali della vita del cattolicesimo dell’Ottocento e del Novecento (letti in chiave religiosa e non politico-ideologica):  da Pio ix all’avventura del concilio Vaticano ii nella quale aveva riposto tante speranze e che pure ricostruì con rigore (nelle diverse fasi dell’annuncio e della preparazione, nell’organizzazione e nel funzionamento dell’assemblea, nello svolgimento dei lavori e attraverso le disamine dei testi conciliari).  
Decisamente innovativo il suo lavoro su Pio IX che l’allora nunzio a Parigi Angelo Giuseppe Roncalli giudicò appena uscito “interessantissimo e istruttivo” (come scrisse sul diario il 21 marzo 1952), ma altresì quello sul Vaticano i (“Aubert è sempre lo stesso, accogliente, aperto, intelligente”, annotò nel suo diario alla presentazione il 27 ottobre 1964 Yves Congar).  
Ma dello storico Aubert hanno fatto discutere anche altre tesi. Fu lui a definire Pio x “riformatore e conservatore a un tempo” affermando che Giuseppe Sarto, apparso ai suoi contemporanei antimoderno “fu in realtà uno dei più grandi Papi riformatori della storia, il più grande riformatore della vita interna della Chiesa dopo il concilio di Trento” (così nella collana “Storia della Chiesa” diretta dallo Jedin). Fu lui, nella sua trattazione finale del concilio Vaticano II nella Storia della Chiesa iniziata da Augustine Fliche e Victor Martin, a collocare Paolo VI “pienamente sulla linea tracciata da Giovanni XXIII”.  
Nato a Ixelles, il 16 gennaio 1914, nipote dell’egittologo Jean Capart e allievo di Aloïs Simon, studi secondari all’Institut Saint-Boniface-Parnasse, dottorato in storia all’università di Lovanio nel 1933, studi di teologia al Seminario maggiore di Malines, Aubert era stato ordinato sacerdote nel 1938 - prima dell’invasione del Belgio - proseguendo poi gli studi teologici a Lovanio dove fu professore all’università dal 1952 al 1983. Membro di diverse commissioni storiche, parecchie lauree honoris causa (nelle università di Nimega, 1963; Milano, 1965; Tubinga, 1967; Graz, 1985); membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche (1968); e del Consiglio scientifico dell’Istituto Paolo VI di Brescia (1980), della British Academy (1980), presidente del Comitato scientifico della Fondazione Giuseppe Sarto (nel 1988), lascia un vuoto nella comunità scientifica internazionale. I funerali saranno celebrati mercoledì 9 settembre nella chiesa di San Francesco a Louvain-la-Neuve. Sempre a Louvain-la-Neuve, il 16 ottobre, si svolgerà una commemorazione accademica con la presentazione di un volume di studi in suo onore.

Roger Aubert. Addio al teologo dei due concili

Marco Roncalli

“Avvenire” - 9 settembre 2009 

Si svolgono stamane a Louvain-La-Neuve i funerali dello storico e teologo belga Roger Aubert: sacerdote, era mancato mercoledì scorso mentre celebrava l’eucarestia quotidiana. Novantacinque anni, specialista di storia ecclesiastica, godeva di una vasta reputazione, accostato per levatura al religioso e storico tedesco Hubert Jedin (Großbriesen, 17 giugno 1900-Bonn, 16 luglio 1980), stimato per capacità di sintesi, costante laboriosità, onestà intellettuale. Doti palesate da una bibliografia sterminata: oltre cinquecento titoli, il modo in cui questo prete libero visto spesso in giacca e cravatta ha servito la Chiesa che ha tanto studiato, cogliendone anche lo spirito della comunità cristiana pellegrina nel tempo.

Tra gli amici non pochi quelli che durante gli ultimi giorni – nella comunità scientifica internazionale rattristata dal suo addio – ne hanno sottolineato la fecondità (per rubare le parole dell’abbé Jean-Pierre Delville «sino all’ultimo soffio»). Ma se è vero che, a prima vista, è la grande mole del suo quasi settantennale lavoro a colpire (da una parte i libri e gli articoli, dall’altra sino a pochi anni fa, sulle orme di Cauchie, Albert de Meyer o Alfred Baudrillart, la lunga direzione della prestigiosa «Revue d’histoire ecclésiastique» nonché il mezzo secolo di coordinamento al «Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastique»), non va sottovalutato proprio l’impatto innovativo di alcune opere dedicate ai papi e ai Concili – prima della notorietà – affrontati con analisi critica scevra da venature apologetiche o impostazioni ideologiche. Così a lui – che già nel secondo dopoguerra si era sorpreso davanti a una storia della Chiesa poco attenta alla vita religiosa, concentrata sulle relazioni con lo Stato, su problemi giuridici, teologici, e non sulla quotidianità del clero, delle parrocchie, tra evangelizzazione e sacramenti, carità e devozioni, fede e ragione – dobbiamo per esempio già nel ‘52 (quando approda come professore all’Università di Lovanio dove

resta sino al 1983) «Le pontificat de Pie IX» giudicato dall’allora nunzio a Parigi Angelo Roncalli «interessantissimo e istruttivo».

Come pure, nel ‘64, quel «Vatican I» che in nuce evidenzia già nell’approccio metodologico una linea continuata nei solidi contributi a collane editoriali (in Italia per la San Paolo o Jaca Book...) anche sul Vaticano II, a suo dire teologicamente preparato già nel periodo fra le due guerre mondiali [dal card. Costantini, ndr]. Quel Concilio nel quale aveva riposto speranze, che ricostruì con rigore e valutò senza condizionamenti, riconoscendo la grandezza di papa Roncalli, così come indicò quella di papa Sarto (definito «il più grande riformatore della vita interna della Chiesa dopo il Concilio di Trento»), poi collocando papa Montini «pienamente sulla linea tracciata da Giovanni XXIII». E a proposito dell’ermeneutica conciliare, forse vale la pena rammentare ciò che confidava tempo fa in un colloquio con Miguel Lluch Baixauli: «...la crisi attuale della chiesa cattolica non è una conseguenza del Concilio, al contrario il Vaticano II ha permesso alla Chiesa di far fronte a questa crisi. Se non ci fosse stato il Concilio le conseguenze sarebbe state assai più gravi...». E ancora: «Alcuni si stupiscono che l’applicazione del Concilio sia stata difficile e lenta..., ma è sempre stato così e le resistenze di piccoli settori della curia romana non spiegano nulla. È la storia ad insegnarci che i tempi per la recezione di un Concilio sono sempre stati così».

Quirino Bortolato

ultimo aggiornamento: 15.02.2010

 
 
 
 
 
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